26 agosto 2015
Stamattina iniziamo a ridere presto, non c’è posto per la stanchezza, oggi: dieci, tredici chilometri e poi mare sia. Apparteniamo a quella fetta di popolazione che ne sente la tenace attrazione, la saudade, ma che al tempo stesso non ha il coraggio di rispondere e abitarlo. Non ancora, perlomeno. Ma quando il mare c’è, bisogna celebrarlo.
In questi ultimi giorni il paesaggio è cambiato molto. Abbiamo abbandonato gli abeti bianchi e ora colline giallo oro che ci mangiamo a passi piccoli e svelti. Facciamo una breve sosta a Petacciato e, proprio mentre la lasciamo per dirigerci verso la sua omonima marina, ci rendiamo conto che tutte le bellezze di questo territorio non corrispondono al nostro concetto di “bello”. E quelle due case arroccate su se stesse, quelle facce uguali a tante, quei paesini semidesertici che ci hanno tanto impressionato, ora ci mancano.
Ci affidiamo a un sentierino non asfaltato costeggiato da rifiuti, Est è la direzione, sempre dritto, non ci si può sbagliare. Passiamo l’autostrada e la zona degli appartamenti turistici, la spiaggia.
Maria ci fa poggiare gli zaini al CEA, centro di educazione ambientale, una deliziosa struttura in legno tra le dune: velocizziamo i tempi, una corsa e siamo in acqua. Il primo bagno della stagione lo si pregusta, lo si aspetta e lo si gode, ognuno a modo proprio, con religiosa devozione. Il primo bagno dopo duecento chilometri di cammino è un’arresa alla tavola blu, al suo essere immensa, eterna, pace. Il CEA ha una terrazza dove tira sempre vento. Pranziamo coi capelli ancora bagnati, frutta e focaccia. È un pomeriggio senza tempi né doveri, un pomeriggio in cui ci premiamo per la strada fatta, premiamo i nostri piedi, le nostre spalle. Verso sera ci raggiunge Gilda, che abita a pochi passi da lì. È una ragazza di liquirizia, dolce e piena di energia, di quelle che ti cambia il mondo con il sorriso. Si aggiunge a noi anche Sara, responsabile del centro, che ci sfama e ci trascina lontano col suo entusiasmo e la sua passione per la sua terra, per il suo lavoro. Sara ride e con lei ogni virgola del suo corpo. Mi chiedo se sia la passione sfrenata verso qualcosa a renderti così, appassionata e libera. Perché è quello che lei è: una persona libera. Passiamo una serata “tra amiche” e si insinua in noi la sensazione che le persone belle non siano finite. Verso i trent’anni uno se lo pone questo dubbio, è lecito, ma stasera queste due ragazze ci hanno restituito un po’ di fiducia nel genere umano. Ci addormentiamo sotto le stelle e questo è l’ultimo pensiero della giornata.