Tappa Quattro - da Bojano a Sepino


13 agosto 2015 


Cos'è la cosmologia? 

Alessia è tornata a casa che noi già dormivamo, ma quando sente la nostra sveglia si alza per prepararci la colazione. Noi facciamo lo zaino lente, la comodità rende tutto più rilassato, come l'acqua calda. Quando arriviamo in cucina, ci sediamo con la meraviglia di quando ci si innamora: caffè, muffin caldi, biscotti ripieni, succo di ananas e cocco. L'alba immerge la cucina in una luce arancione: casa. 

È un saluto difficile e doloroso, ma non ce lo diciamo. Usciamo che Gina ancora dorme, ci dispiace ma la strada urla con il sole che brucia già un po', dobbiamo andare.
- Raga?!
Gina si affaccia al balcone con le lacrime agli occhi per augurarci buon viaggio e regalarci un ultimo sguardo pieno d'amore. 

La cosmologia è la scienza che studia il cosmo, l'universo. 

Il tratturo da Bojano a Saepinum inizia alle sorgenti del Biferno, inizia dell'asfalto. Guadiamo un torrente, giochiamo con enormi tubi in un paesaggio lunare, affrontiamo cani randagi, riempiamo l'aria di canzoni per allontanare le vipere. Poi ci ricordiamo che non hanno orecchie e iniziamo a pestare i piedi. 

Anno luce: per definire una distanza usiamo un tempo. 

Almeno un'ora al giorno ci perdiamo, ormai lo sappiamo. Torniamo sui nostri passi, cerchiamo un'altra strada. Mauro -­ il nostro angelo custode -­ dice che abbiamo un buon ritmo e queste parole ci danno l'energia per andare avanti. 

Anche le galassie hanno dei satelliti: altre galassie. 

Sul tratturo larghissimo a Campo di volo c'è una mandria di mucche. Un toro le monta e l'inquietante pastore non risponde al nostro saluto. Noi gli passiamo di fianco, vacche moderne in transumanza.


13,7 miliardi di anni fa, nuclei di idrogeno, elettroni liberi e fotoni sono concentrati in uno spazio piccolissimo, denso, un plasma; sono liberi ma compressi, accaldati. 

Siamo cotte dal sole, la testa, i piedi. Quando vediamo Porta Bojano ci appare davanti l'arco di trionfo, il nostro Pantheon. Altilia è bellissima, muta e intatta. È la prima importante traccia di romanità che incontriamo in questa terra sannita che trasuda sannitità. Perpendicolari al sole, saliamo a Sepino. Dalle finestre esce odore di salsa, verdure grigliate, caciocavallo. Non c'è anima viva all'una e mezza, solo una signora che ci indica un bar aperto e ci aspetta. È algida e svizzera nei modi, ma è solo la prima impressione: poco dopo siamo nella sua taverna a mangiare insalata di pasta e un caciocavallo marmellata e menta impossibile da dimenticare. Conosce Mauro: "sei del CAI?" le chiediamo. "No, sono il sindaco". 

I fotoni urtano gli elettroni liberi, che si uniscono ai nuclei di idrogeno. 

"La sindaco" ci indica la casa di Angela, incontrata sulla strada poco prima. Saremo sue ospiti, stanotte. La stanza è arancione, col soppalco in legno dal quale iniziano presto a penzolare i nostri vestiti appena lavati.

La sera siamo invitate a un convegno sulla cosmologia, poi la vita si sposta in piazza, dove le persone ancora passeggiano e si incontrano intorno alla fontana, aspettando i cornetti caldi a mezzanotte. Sono tutti qui, nessuno in casa. 

In ogni secondo, in un'unghia del nostro corpo - circa un centimetro quadrato - passano quattrocentoundici fotoni del Big Bang, che portano con sé una sorta di diario della loro "vita" fino ad oggi.

Video del giorno:

Tappa Tre - da Castelpetroso a Bojano


12 agosto 2015

Stamattina alle cinque gli olandesi erano già in piedi e anche Francesco si sveglia all'alba. Lo raggiungiamo nella "piazza grande". Ha gli occhi vispi ma la voce è ancora quella del sonno: ieri qualche birra e si sono fatte le quattro. Ma lui è lì ed è lì per noi.

Il tratto fino a Indiprete è breve, ma è la prima volta che camminiamo con qualcuno e dobbiamo prendere le misure. Alcuni sentieri sono fatti per andare soli, in due ci si sta comodi se si conoscono i confini, in tre occorre dare le precedenze, aspettarsi, parlare con la testa alta per farsi sentire da tutti. Scendiamo in silenzio per rispettare questa piccola marcia, perché è ancora molto presto ed è un'ora da ascoltare. Di tanto in tanto Francesco ci racconta qualcosa sulle contrade che da Castelpetroso scendono a valle e noi lo ascoltiamo con l'imbarazzo della gratitudine. Indiprete è una di queste, corre lungo il corso della sua sorgente ed è piena di fontane. Francesco ci accompagna fino al torrente, poi deve tornare in cima per recarsi a lavoro. Ci congediamo veloci, è il terzo giorno e non siamo ancora brave con i saluti. 

Percorriamo un sentiero che costeggia la statale a destra, a sinistra il rumore del torrente vuole imporsi sull'asfalto. Noi lo assecondiamo, poi però la strada vince e del sentiero perdiamo la traccia. O forse è la fame che ci guida fino a un bar sulla statale che, una volta rinate, percorriamo per un'ora. Chiediamo informazioni a un contadino che tiene in braccio una gallina ma il traffico costante si mangia le parole e di lui ci rimangono solo i gesti e un forsennato sbattere d'ali. 

Arrivate a Taverna incontriamo Paolo e Angela al birrificio. Paolo ci regala due bottiglie di Ianara: "in dialetto indica le streghe dei boschi e - non vi offendete - mi ha fatto pensare a voi". Angela ci rincorre con due mozzarelle perché non possiamo fermarci da lei. Siamo già ospiti del tratturo questa mattina, ci sta aspettando anche se si nasconde tra le case. Per un pezzo di strada veniamo accompagnate da un gruppo di bambini. Guido ha dieci anni, tiene le pecore dello zio "un giorno sì uno forse no", odia cantare a scuola, vaffanculo - dice - a me piace il rap".


Prendiamo un sentiero nel bosco ancora pieno di fango dal giorno prima e, dopo un bel pezzo, ci ritroviamo in una radura senza uscita. Perse. Questa volta per davvero. 

Calpestiamo cardi e fieno pungente percorrendo la radura in lungo e in largo, alla fine ci rassegniamo e ritorniamo sui nostri passi fino alla strada asfaltata. Fermiamo una macchina per sentirci dire che quella strada porta in realtà a Roccamandolfi, paese sicuramente stupendo ma da tutt'altra parte. L'uomo, un veterinario, si offre di accompagnarci all'ingresso del tratturo. Lui lo conosce perché d'estate dà l'antiparassitario alle greggi. Conosce anche tutte le storie dei Sanniti: ora sappiamo che Ponzio Pilato era molisano. 

Attraversiamo il greto di sassi bianchi di un fiume e non siamo più perse. Forse i tratturi sono come le onde per i surfisti: bisogna imparare a conoscerli, a intuirli, a ritrovarli. Anche quando, in campagna come in mare, affiorano i rifiuti: un divano nel bosco, una catasta di vestiti, flaconi maleodoranti, un cartello che indica pericolo di amianto. 

Ci fanno male i piedi, sogniamo di immergerli nell'acqua fresca. Però camminiamo gioiose e addirittura acceleriamo il passo quando vediamo Bojano avvicinarsi. Prendiamo una deviazione, una macchina si ferma:

"Voi siete quelle che camminano per il Molise? Potevate scegliere un altro nome... la regione che non c'è possiamo dirlo solo noi". Ci dispiace. Camminare qui è il nostro modo per cambiarne la percezione. Ci dispiace che non abbia capito, ma le siamo grate per averci indicato la strada giusta. L'altra. 

Poco dopo ci raggiunge Alessia, che per prima cosa ci porta alle fonti del Biferno, dove beviamo e ci rinfreschiamo i piedi nell'acqua gelida: il sogno diventa realtà. Alessia inizia a raccontarsi e la sua determinazione nel voler cambiare le cose va di pari passo con l'amore che prova per la sua città. Arriviamo a casa e Gina, mamma accogliente, ha già messo in tavola spaghetti allo scoglio e sta friggendo le polpette. Qui siamo a casa, Gina ce lo dice ma noi lo avvertiamo già, anche se di arancione non ce n'è. Se ne accorge anche Sam, il loro cane che si addormenta con noi.Caffè?chiede Alessia dopo aver dormito sul divano per lasciarci la sua camera. Ci accompagna a Civita Superiore, il borgo antico che sovrasta Bojano; qui ci aspetta Luisa, una dei suoi quarantacinque abitanti che ora vive a Roma e a cui manca il suono delle sue campane. Alessia e Luisa non si conoscono, noi siamo il collante di relazioni possibili, ce ne accorgiamo proprio in quel momento. Del castello di Civita non rimane quasi niente ma Luisa ce lo racconta sorridendo, nella luce di un tramonto lunghissimo che ci accompagna tra le vie del paese. Passeggiamo tra le case di pietra, scambiandoci le vite, il nostro passaggio diventa un pretesto per ragionare insieme sulla grandezza di questo mondo­paese, su come cambiarlo per farlo più bello. Delle ragazze ci colpisce l'attaccamento alla loro terra che noi non abbiamo. Si uniscono a noi Paolo e due turisti: siamo calamite e non lo sappiamo. Alessia deve andare a lavoro, sta mettendo via i soldi per stare un anno a Berna. Va per tornare. Va a cercare nuova energia per cambiare le cose a Bojano. 

La madre di Luisa ha un accento buffo, a metà tra il tedesco e il molisano. Ci offre the alla menta e torta di mele nel suo delizioso B&B alle porte di Civita. Quando arrivano gli uomini di casa, noi donne scendiamo in paese sulla mitica 112 che qui tutti conoscono come i baffi del padre. 

Le salutiamo tre o quattro volte, poi ci sediamo su una panchina a scrivere ma non troviamo le parole. Quando c'è troppo, succede. Chiacchieriamo con una coppia seduta a fianco a noi. È un dialogo surreale, è il dialogo di cui abbiamo bisogno: lei comprende ma non comunica, lui non comprende ma parla anche per lei. Li salutiamo con un po' di dispiacere e torniamo a casa. Mangiamo la mozzarella che ci ha dato Angela e beviamo la Ianara assieme a Gina, che si racconta. È una grande donna, di quelle che andavano ai concerti in autostop. Qualcosa di lei ci ipnotizza: abbiamo davanti una donna resiliente, una ianara che non si piega ma ride col cuore. Ci guardiamo e sappiamo che ripartire domani sarà molto difficile.

Video del giorno:

Tappa Due - da Isernia a Castelpetroso

11 agosto 2015

È un inizio difficile, un film con un incipit di un'ora che però descrive un tutto. Un allevatore e sua moglie ci danno indicazioni: a quanto sembra, ci siamo già perse prima di cominciare. Il cartello dice tratturo, in realtà è una pineta. Nessun segno sulla strada, ci affidiamo alle nostre cartine, ma qui sembra funzionare solo la fiducia negli abitanti e nel tratturo stesso. Alla fine la strada si trova, il modo si trova, e camminiamo su sentieri dai profumi più diversi. E non è facile - affatto facile - descrivere senza essere didattici, scientifici. Non è facile quando non si conoscono le parole, quelle giuste. 

Ci sorprende una pioggia battente, ma noi procediamo. Un passo dopo l'altro nel fango, nel bosco, tra i rovi fitti, poi la ricompensa: il santuario di Castelpetroso si offre allo sguardo, nel suo azzurro che buca il verde e le nubi dense. Davanti alla sagrestia ci togliamo scarpe, impermeabile, zaino, ci togliamo via di dosso tutti quei discorsi che la strada riscalda, accende e fa cuocere. C'è spazio solo per il silenzio, anche fra noi due che di parole ce ne gettiamo addosso tante. 

Francesco si avvicina con le mani in tasca, ha gli occhi chiari ma non me ne accorgo subito. Sono gentili, quegli occhi. Ci offre un caffè e ci porta a Castelpetroso, paese dai mille paesini apparecchiati sulla parete rocciosa, alle spalle del santuario. Castelpetroso, quello vero, è uno di quei draghi di pietra addormentati. Francesco ce la racconta da innamorato.


C'è la casa di donna Rosa, tempio di feste per quelli mai sazi de La grande bellezza di inizio secolo; il presepe, nascosto come questa regione: tutti sanno dov'è ma servono chiavi per entrare e bisogna chiederle ai custodi, a chi appartiene a questo luogo, a chi resta; la casa dove Sergio Leone ha immaginato i suoi migliori film lasciandosi ispirare dal paesaggio. Sono tutte storie per le quali vale la pena restare. 

Conosciamo poi Jesus e Marleen, archeologi che da Leiden si arroccano qui per due mesi all'anno assieme a un gruppo di studenti ventenni, che la vita se la bevono in birra Moretti. Siamo loro ospiti e questa parentesi europea è un paio di calzini spaiati che finiscono per essere indossati insieme. Archeologia: un altro motivo per restare, sentirsi sanniti, appartenere. Non mi sento etrusca, normanna o longobarda. Non mi sento di nessun luogo e questo a volte pesa, complica le cose, o le semplifica. 

Mangiamo tutti insieme mentre un arcobaleno taglia in due il cielo.

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Tappa Uno - Isernia (e Miranda)


10 agosto 2015 

Una città che aspetta e si lamenta del caldo che non conosce. Tira un bel vento. Nemmeno siamo arrivate e già le persone ci ringraziano di essere qui. Dobbiamo incontrare Liberata e Tommaso, ma stamattina vogliamo perderci tra questi vicoli, stretti e puliti e quasi non sembra una delle città più importanti della regione. 

I due signori alla panchina pensano che noi giovani, certe cose, possiamo permettercele. Loro invece hanno bisogno di sedersi. E in quel momento penso che proprio noi, noi che possiamo permetterci di stare in piedi, non lo facciamo abbastanza.

Scopriamo la tradizione del tombolo con Antonio, uomo dalla bottega colma di sé e delle sue opere: è il nostro primo vero incontro. Il secondo arriva pochi passi dopo. Maria ha imparato il tombolo a cinque anni: "quando ero piccola mia nonna metteva lo staglio per segnare quanto lavoro mancasse prima di uscire a giocare. Ma quando non vedeva, noi lo spostavamo un po' più vicino". Di Maria mi piacciono due cose: il negozio e il modo in cui non se ne interessa. Ha le spalle rivolte alla porta, così impedisce l'ingresso ai possibili compratori. Lavora i fuselli veloce, stacca lo sguardo raramente, perché non ha più quelle otto, nove ore al giorno da dedicare al tombolo. Bello vedere la dedizione alle passioni: diventano strade a senso unico dove non ti devi preoccupare delle precedenze. Da lei prendiamo il nostro pranzo, due percocche, lasciando indietro i piccoli screzi tra botteghe, come è giusto che sia nei paesi, anche se qui siamo in città

La strada per Miranda è asfalto e curve. Il nostro primo "fuori rotta" arriva per caso, conquistate dalla promessa di una serenata in ritardo. Fa caldo, un caldo catrame, ma Liberata ci accoglie con una bottiglia d'acqua, ci accompagna al bar, ci offre un gelato, ci presenta. Il nostro non è di certo un arrivo in punta di piedi, in un attimo conosciamo tutto il paese. Tutti hanno qualcosa da offrirci: il sindaco ci invita a cena, il presidente della Pro Loco ci regala una notte in un B&B, che poi è anche casa di una mamma, sua mamma e due bambini. 

Domenico e Liberata ci portano in montagna, una montagna potente e aspra, una montagna che commuove, che non si può "dire", bisogna esserci. Esserci dentro. Ecco, ciò per cui sono più grata a Liberata è di averci portate dentro la sua vita, dentro la vita di Miranda.

Ad un tratto piove. Il temporale ha bloccato le pompe dell'acqua, ma non importa, stasera abbiamo un letto. Ceniamo a casa del sindaco come amici di sempre, bicchieri di plastica e tovaglioli arancioni. Iniziamo a pensare che arancione è casa. La serenata agli sposi passa sotto il balcone e noi ci uniamo al corteo. È una tradizione che non conosciamo, un paese che canta insieme fino al sorgere del sole. Arancio. 

Camminare per Miranda vuol dire fermarsi, incontrare. Miranda è una città invisibile, che Calvino ha dimenticato di raccontare.

Link: Miranda, città invisibile

Video del giorno:

Tappa Zero - Casacalenda



9 agosto 2015

Questa mattina la colazione aveva il sapore della gratitudine. Offerta inaspettatamente dal sindaco, pochi minuti prima di lasciare il paese con un bus e un "arrivederci al 30 agosto". Chissà che sapore avrà allora la colazione.

Il primo impatto con questa regione è un misto tra meraviglia, imbarazzo e la sensazione di non riuscire ad afferrare, ad apprezzare, a gustare appieno l'essenza del Molise. Forse perché lo sguardo è filtrato dal finestrino del treno, del bus o dallo schermo del cellulare, della macchina fotografica; forse perché il paesaggio scorre troppo velocemente e non lascia il tempo di sedimentarsi. Molise verde e oro, Molise di sorrisi, sguardi curiosi e una riservatezza che si scioglie con poco. "Il cammino del Molise inizia al binario 20bis di Roma Termini". Un viaggio senza finestrini né aria condizionata e poi la gioia di un bus vintage al tramonto.

Casacalenda è invasa dalle biciclette e dal fremito per l'ultima serata di MoliseCinema, c'è confusione, ma noi attendiamo concedendoci una birra e le screppelle (strisce di pasta fritta salata e zuccherata), il primo piatto tipico che assaggiamo. Un po' di ansia per non sapere cosa come quando parleremo, poi tutto si risolve in cinque minuti sul palco. Dormiamo di sasso in una casa che dà sul corso, noncuranti delle ultime proiezioni del festival. La parete dietro al letto è arancione.