18 agosto 2015
Questa mattina, per la prima volta, siamo riuscite a partire “in tempo”. Questo tempo che ha un corso tutto suo e che siamo noi a decidere in base al sole e ai chilometri. Ci siamo fermate a fare colazione in pasticceria a Torella. Gianni ce l’aveva pagata la sera prima senza dirci nulla. Ha un cuore grande e un occhio gonfio e stasera aprirà la sfilata della festa a Bagnoli del Trigno come Duca, per poi abbandonare questa partecipazione all’apice della sua carriera. Prendiamo il tratturo, che qui è una bella linea dritta che taglia le curve di livello e la prima cosa che vediamo è una volpe che attraversa, sola, un campo. Non si può non pensare a quella storia, in quel momento. C’era un bambino e una volpe, un campo di grano. Poi un cagnolino inizia a seguirci e lo battezziamo Pis II. Ci divertiamo a saltare sulle balle di fieno, noncuranti delle vesciche ai piedi, ridiamo come due bambine poi, quando ci sembra che il gioco sia durato abbastanza, riprendiamo il cammino alla volta di Duronia. Sappiamo che ci verrà incontro Giovanni. Non l’abbiamo mai visto se non in foto ma, appena scorgiamo la sua figura da lontano, ci prende una strana gioia, un’agitazione simile a quella che si prova agli arrivi, quando sai che qualcuno ti sta aspettando ma non sai chi. E acceleriamo il passo senza accorgercene e spegniamo la videocamera per non sporcare quel momento.
Incontrare qualcuno sul tratturo è emozionante: lo noti, provi a immaginarne la forma, la faccia, lo distingui e c’è l’imbarazzo di volerlo salutare ma poi aspetti, continui a camminare, sorridi. E ti fermi. Questo è il ritmo.
Giovanni ci accoglie insieme a sua moglie, Emanuele e Roberto. Camminiamo fino a Duronia insieme, percorriamo il tratturo come un piccolo gregge che conosce a memoria la strada. A Duronia ci raggiunge anche Padre Antonio, fratello missionario di Giovanni appena tornato dal Bangladesh e poi un’altra, un’altra e un’altra persona e i tempi si allungano, come in uno sketch sul Sud Italia. A noi non dispiace osservare questo spettacolo, ma siamo spettatori lontani. È lontano dalla “cortesia” torinese, dai due bacetti gelidi quando si lascia piazza Castello e si torna a casa, la sera.
Le nostre guide ci conducono alla Civita, la comitiva si è allargata. La Civita è quello che rimane di un muro di cinta sopra ad una montagna con lo strapiombo tutt’intorno e - da lassù - tutto fa un po’ più paura, tutto vale un po’ meno. Passeggiamo in cresta sfidando anche le nostre, di paure. Ci raccontano com’era e dietro ai nostri occhi prendono forma ricordi altrui, come avventure di tempi lontani. Giovanni e Padre Antonio ricordano e sono solo le undici, ma sappiamo già che quello sarà il momento più bello della giornata. Questa immersione ci accompagna fin dentro al paese, nei vicoli, fino alla croce di San Tommaso, che fu monastero, rifugio dalle bombe aeree, fonte battesimale, luogo di nulla in cui trovare riparo quando si vuole solo il cielo come tetto. Giovanni ci invita a pranzo e siamo davvero tentate di accettare, ma abbiamo un patto con i tratturi, con la strada, con noi stesse. Questo nostro andare ha delle regole rigide che non ci siamo mai dette ma che vanno rispettate. Giovanni ci scorta per un tratto e come un bravo papà ci alleggerisce lo zaino di tutti i doni che abbiamo raccolto fino a qua. Forse è un modo per essere certi di rivederci, che importa.
La salita a Civitanova cuoce le fronti, ormai sono le due e la città dorme. Entriamo in una pasticceria e ci concediamo il lusso di una fetta di torta, mentre diventiamo parte dell’immobilità del primo pomeriggio. Roberta ci riconosce e ci offre un posto dove dormire. Accettiamo con un po’ di confusione: siamo partite da una sola settimana e ci sembrano mesi.
DovremmosalireaChiaucimaforsesiamostanchedobbiamoscriveredobbiamoandarerestareoandaredomanipioveràfermarsiungiornounosoltantomagarirestiamo. Abbiamo bisogno di una pausa.
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Vito ci porta a zonzo, prima al monastero e poi per i vicoletti svuotati dagli anni. Civitanova è carina ma risuona perché è cava. E ci sentiamo anche noi un po’ così, stasera. Mangiamo svelte e, per la prima volta, dormiamo sapendo che la sveglia domani non suona alle sei.