16 agosto 2015
Francesca e Leo ci vengono a prendere puntuali e ci portano a far colazione in quello che per noi resterà il bar più buono di Campobasso. Stiamo insieme poco tempo, ma già basta per entrare in profondità nelle loro vite. Abbiamo la sensazione di essere privilegiate, le persone che incontriamo si raccontano a cuore aperto, chissà perché. Forse perché il nostro è “un mestiere di vento” e si ha la sensazione che le parole volino via insieme ai passi.
Inizia a piovere mentre attendiamo le nostre compagne di viaggio. Oggi saremo in sei. Dodici piedi. Tutte donne. Riempiamo questo vecchio tratturo asfaltato di voci squillanti. E la strada è tornata strada: un mezzo per collegare un posto ad un altro, una persona all’altra; ci dimentichiamo di celebrarla perché abbiamo altro da fare, oggi.
Oratino è uno di quei pacchi regalo che ti dispiace scartare: la prima cosa che facciamo, infatti, è fermarci al belvedere per guardare fuori. Belvedere è una parola che non ci piace e che soprattutto oggi non rende giustizia a questo spettacolo di nubi e colline: lo ribattezziamo mirargiocondo. Salutiamo due delle ragazze e, dopo un caffè, anche le altre compagne di viaggio. Ci ripariamo dalla pioggia sotto un arco fino a quando non compare Alessio, che ci invita a unirci al pranzo della Pro Loco. Quindici persone, un brindisi e l’assaggio della tazza: da altre parti si chiama scattone, ma resta sempre una tazza in cui annegare, con vino e acqua di cottura, una piccola porzione di pasta. Tipico aperitivo molisano. Dopo pranzo siamo invitate a una visita guidata del borgo che inizia proprio dal nostro mirargiocondo. Anche Oratino fa dei miti del proprio passato il suo punto di forza: nomi sconosciuti ai più, che non troveremo mai sui libri di storia, ma che sono motore e fonte di ispirazione per chi li abita e si impegna per rendere questo luogo IL più bello. Se Oratino è uno dei borghi più belli d’Italia è perché i suoi abitanti hanno voluto che lo fosse.
Nella struttura in cui dormiremo stanotte c’è anche un ragazzo, che ancor prima di conoscerci ci invita a seguirlo in un’altra stanza: si chiama Luigi, è un fotografo e ci chiede un parere sul suo lavoro. Domani esporrà alcuni degli scatti che ha realizzato in queste ultime due settimane e ci guarda con umiltà e tensione mentre osserviamo in anteprima le sue opere. Sorprende la sua mancanza di presunzione e continuiamo a restare stupite dall’essere considerate, qui, come un occhio esterno necessario per valorizzare la quotidianità.