14 agosto 2015
Sepino è un paese che va visto mentre si sveglia, così pulito e ingarbugliato. Salutiamo la piazza, i vicoli e scendiamo verso Altilia, ancora più immobile alle otto del mattino. Passeggiamo tra le rovine come se fosse casa nostra, ce le siamo conquistate. Alle nove abbiamo appuntamento con Giuseppe "Peppino", che ci guiderà fino a San Giuliano. Ha una bella faccia sannita, con la barba folta.
Il primo pezzo è ancora tratturo, poi prendiamo il sentiero 501, da lui stesso pulito, segnato, curato. Subito la strada si riempie: Peppino ha un fuoco dentro, una passione sfrenata per questa terra e non per Napoli, dov'è nato. Un amore così forte che è disposto all'odio quando incontra l'uomo nel suo trascurare e aspettare che le cose cambino da sé. “Il Sannita è ordinato, si prende cura della propria terra, la rispetta anche se quella stessa terra lo mette a dura prova con la sua indomabile asprezza”. Ci racconta dei lupi, degli alberi secolari che ci guardano e trattengono la storia, ci parla della Storia di questa regione e dei suoi abitanti. Peppino osserva, assentandosi, gli uomini: non ce lo dice, ma ce ne accorgiamo dal modo in cui si guarda attorno. Questo camminare insieme diventa anche un pretesto per ragionare su un Molise che non c'è, nascosto nei tratturi e nelle abitudini quotidiane, schiette, della gente di paese, contrapposto al Molise che c'è, quello istituzionale, burocratico, distante dalla vita reale delle persone che lo abitano.
Alle porte di San Giuliano il Molise che c'è ha rimesso a nuovo un'antica fonte, alla quale ci rinfreschiamo prima di affrontare l'ultima salita, la più ripida. Quarantacinque gradi quasi d'un fiato, poi le prime case: due signore salutano con un accento francofono la nostra guida, che per loro non è altro che "il marito di". Il Molise che non c'è. Veniamo accolte in piazza a suon di organetto: le inconfondibili note di Piemontesina bella non ci fanno certo sentire a casa. Siamo grate e imbarazzate da questa accoglienza: una visita a San Nicola nella chiesa del paese e quando usciamo alcune signore hanno improvvisato un rinfresco per noi. Aranciata e pezzi di torta salata su un piatto di plastica. Le signore si accorgono che il tavolino è un po' ammaccato e il loro imbarazzo, quello sì, ci fa sentire a casa.
La visita al municipio e ai pezzi di storia che lo reggono ci fanno pensare al Molise che c'è. Mentre ci allontaniamo dal paese ci domandiamo se anche noi abbiamo una dedizione così risoluta per qualcosa allo stesso tempo insignificante per il mondo e fondamentale per le proprie origini. E quanto questo sia necessario per comprendere a fondo la nostra identità. Forse i Sanniti ci sembrano così integri proprio perché dei dettagli della storia hanno fatto tesoro, li rispettano, li stimano.
Siamo ospiti di Francesco e Rosaria, una piccola oasi di pace tutta bosco e cavalli alle porte del paese. Qualche anno fa hanno deciso di seguire un sogno che ancora non conoscevano, forse il sogno di qualcun altro. Oggi quel sogno è anche il loro, lo vediamo anzi no. Lo percepiamo da quelle piccole attenzioni, sguardi, parole dette piano che sono difficili da descrivere ma che hanno reso questa giornata una ricetta da non dire, della quale possiamo enumerare gli ingredienti ma sapendo che il segreto sta nella preparazione, nel soppesare le dosi esatte, nell’aspettare il tempo giusto, il silenzio, l’attimo.
una casetta nel bosco e un intreccio di ricordi
un pranzo indimenticabile
la miglior Tintilia
un amore così profondo da brillare in superficie
la tranquillità del riposo
i nostri trainer
prendersi cura dei cavalli, prima e dopo
l’amaca
una festa di famiglia
le stelle
le cover country
le parole accorte e spigolose di Francesco
parlare come amici
i preparativi di Ferragosto (senza ansia)
Mao (non il dittatore, il cane)
l’ombra dei pini
l’incontro con uno dei nostri angeli custodi, Mauro
le indicazioni di Mauro che dimentichiamo subito
Oggi essere grate è poco.