Tappa Sei - da San Giuliano del Sannio a Campobasso


15 agosto 2015 

Mentre prepariamo lente i nostri zaini, osserviamo con la luce dellalba gli angoli di questa casa che ha raccolto dentro di sé le storie di tante vite. Rosaria e Francesco ci hanno lasciato yogurt, fette biscottate, marmellata, caffè e una grossa fetta di caprese, torta al cioccolato su cui si concentra la nostra venerazione. Attraversiamo la pineta con il cuore e listinto che ci chiedono di restare, di fermarci ancora un po, ma c’è gente che ci aspetta al paese. C’è la strada che ci chiama. Tutta la famiglia è già al lavoro per accogliere i prossimi ospiti, ma ognuno trova un momento per salutarci e rendere la partenza ancora più difficile. A San Giuliano, Peppino e Salvatore ci attendono, pronti per partire, mentre Luigia -­ moglie di Salvatore -­ ci dona due sacchetti di tarallini appena fatti, ci saluta e se ne va. 

Ci incamminiamo insieme, noi ragazze immerse nel silenzio, gli uomini iniziano discorsi quotidiani su conoscenze comuni. Passo dopo passo le parole si spostano sulla strada, sulla necessità di salvaguardare, comunicare e conservare la bellezza di questi sentieri. Le piante e i fiori diventano ricordi, così come i sapori perduti della mela limoncella o gli aneddoti storici: sul tratturo crescono i noci perché i pastori mangiavano frutta secca, ricca di energia per la transumanza. Ragioniamo a quattro voci sulla natura umana, ci fermiamo più spesso rispetto a quando camminiamo sole però, grazie alla guida di Peppino, scavalchiamo un muretto e ci arrampichiamo su una collina, inventando il sentiero tra i campi e nel bosco ripido, sostenuti dalle ginestre e dai piedi pesanti che compattano il terreno. Dopo una salita tra gli arbusti, allimprovviso sbuchiamo in una radura affollata, organizzano tavoli e barbecue a fianco alla chiesa di Santa Maria a Monteverde. Ci accorgiamo solo ora che per il mondo è Ferragosto ed è strano passare così in fretta dal rumore del proprio respiro al vociare festaiolo. Riconosciamo una ragazza incontrata il giorno prima da Rosaria e Francesco e quasi non ci escono parole, solo sorrisi straniti. Le coincidenze non sono finite. Ieri Francesco ci ha lasciato il numero di Alessandro, esperto di sentieri molisani e, proprio mentre stiamo per ripartire, Peppino lo saluta. Raccogliamo così qualche suggerimento e proseguiamo sul tratturello, un mosaico di sassi bianchi in mezzo allerba e alle conifere. Molti bivi, i nostri compagni di viaggio controllano col GPS, noi siamo ormai abituate a perderci leggere su tutte le strade, giuste o sbagliate che siano. Sono meno di sette chilometri, ma anche Peppino e Salvatore si rendono conto che, camminandoli, sembrano molti di più. Ci accompagnano ancora un po, fino a quando le nostre strade si dividono:  loro prenderanno lasfalto, noi seguiremo il sentiero. Salvatore chiama la moglie perché li venga a prendere: Come, hai le cose nel forno?. Dovranno aspettare i tempi di cottura. Li salutiamo a modo nostro: ogni mattina, quando iniziamo a camminare, prendiamo alcuni sassi dal tratturo. Un poper muovere le cose, un poperché sappiamo che incontreremo delle persone che alleggeriranno i nostri passi. Regalandolo, questo peso si trasforma in un simbolo di gratitudine e noi ci alleggeriamo davvero. Peppino e Salvatore sono spiazzati, imbarazzati ma ci ringraziano di cuore. I molisani sono concreti, sono arcaici. Non ci verrebbe mai un gesto di questa poesia. Noi siamo più per un abbraccio o per offrire da bere o da mangiare. Grazie


Ci godiamo la frescura del bosco e ripensiamo ai discorsi appena terminati, al Molise che non c’è, fino a quando, dal fondo di questa natura, arriva una musica latino­americana a tutto volume. Che succede? Non importa, balliamo anche con gli zaini una mazurka che parte subito dopo. È tardi, abbiamo una discesa e una lunga risalita prima di arrivare a destinazione. È il momento giusto per giocarci la carta della leggerezza. Ridiamo insieme, questa è una grande fonte di energia, quando le riserve stanno per finire. Presto arriviamo alla fonte delle canzoni esilaranti che riempiono questa terra di silenzi: un agriturismo in piena festa, ai piedi di una salita tortuosa e ripidissima, di cui non vediamo la fine neppure dopo unora di cammino sotto al sole cocente.
Arrivate in cima, ci inseguono nubi cariche di lampi e pioggia. Le scansiamo fino alle porte di Campobasso. A un incrocio seguiamo una strada per intuito. C’è un podi gente nel cortile di una casa, chiediamo informazioni e ci ritroviamo invitate al pranzo di Ferragosto di nonna Jolanda, figli, nipoti, colleghi di lavoro. Parrucchieri, per la precisione. E noi che ogni giorno ci lamentiamo dei nostri tagli comodi ma ingestibili, un poci vergogniamo. Ma solo allinizio, poi è come stare in una grande famiglia. Ci vuole poco per volersi bene, ancora meno per amare nonna Jolanda, che ci prende in disparte e ci confessa di avere sentito una vocina che le diceva di invitarci a restare: A volte si sentono le vocine nella testa, succede anche a voi, vero? Solo che alcune sono buone, altre sono cattive. Ma credo che questa fosse buona. Mangiamo, suoniamo e cantiamo insieme, ridiamo tanto e quando ci salutiamo non c’è sasso che tenga. Il nostro cuore è pieno come le pance e gli zaini - due pacchi di taralli, bottiglie di the, limmancabile birra Forst (sponsor del Molise), Gippa! Cuore dacciaio nella testa, un libro con i proverbi campobassani/varesotti e la loro traduzione che ci regalerà risate convulse, la speranza di rivederci presto -. Siamo tanto diversi nei modi di pensare e di fare, ma è stata proprio questa diversità a dare valore al nostro incontro. Noi ringraziamo tutti, ma sono loro - Antonio in particolare -­ entusiasti della nostra presenza improvvisata. I saluti si prolungano e si fanno più difficili ma questi ragazzi sanno come sdrammatizzare. Arrivano Francesca e Leo, stanotte dormiremo da loro. Ci lasciano le chiavi e tornano in campagna con la famiglia. La casa è a nostra completa disposizione: chi lo farebbe a Torino?


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